Il dibattito sul ritorno delle city car in Europa è diventato centrale per il futuro dell’automotive. In un contesto segnato da prezzi in crescita e da un progressivo aumento delle dimensioni medie delle vetture, politica e industria sembrano finalmente condividere una visione comune: riportare al centro del mercato auto piccole, compatte ed economiche, capaci di soddisfare le esigenze della mobilità urbana e di ridare competitività a un settore in crisi. La city car diventa così non solo un mezzo di trasporto, ma anche un simbolo di accessibilità e sostenibilità, in un’Europa che deve fronteggiare la concorrenza asiatica e la sfida della transizione ecologica.
Le radici storiche e il modello delle kei car giapponesi
Per comprendere le ragioni dietro questo ritorno, basta guardare al successo delle kei car in Giappone. Queste vetture ultracompatte sono regolamentate da precise normative: lunghezza massima di 3,4 metri, larghezza non superiore a 1,48 metri, motore limitato a 64 CV e cilindrata massima di 660 cc. Nonostante le dimensioni ridotte, riescono a ospitare fino a quattro passeggeri, offrendo praticità e costi contenuti. Nel 2024, circa il 40% delle immatricolazioni giapponesi ha riguardato questo segmento, pari a 1,76 milioni di auto vendute. Marchi come Daihatsu, Suzuki e Honda hanno costruito la propria forza proprio su queste vetture, diventate veri e propri pilastri della mobilità quotidiana nipponica. La proposta europea mira a replicare quel modello, con un adattamento alle esigenze locali e alle normative continentali.
Le proposte dei grandi protagonisti dell’automotive
Il ritorno delle city car in Europa non è un’idea astratta, ma un progetto spinto da figure di primo piano del settore. John Elkann, presidente di Stellantis, ha sottolineato come l’Europa debba avere le proprie “E-Car”, ossia auto elettriche, economiche ed europee, capaci di garantire un’alternativa concreta alla crescita inarrestabile dei prezzi medi. Anche Jean-Philippe Imparato, a capo della divisione europea di Stellantis, ha ribadito l’urgenza di rilanciare il segmento A, ricordando che milioni di persone non possono permettersi auto nuove che superano i 20.000 euro. L’idea è quella di recuperare il concetto che ha reso grandi modelli iconici del passato, dalla Fiat 500 alla Renault 4, adattandolo però al contesto moderno e alle nuove esigenze di sostenibilità ambientale.
Il supporto politico europeo
A rafforzare la spinta industriale c’è una rinnovata attenzione politica. Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea, ha dichiarato che l’Europa ha bisogno della propria city car elettrica, accessibile a tutti e prodotta con filiere interne. Secondo la leader europea, non si può permettere che siano Cina e altri Paesi a conquistare questo mercato strategico. L’appello si lega a una visione che non è solo industriale ma anche geopolitica, perché garantire una filiera europea significa proteggere posti di lavoro e ridurre la dipendenza da fornitori esterni. Anche il ministro italiano Adolfo Urso ha sottolineato l’urgenza di una strategia comune e di fondi dedicati, per trasformare il concetto in una realtà concreta capace di incidere davvero sulla competitività del settore.
Le sfide fiscali e normative
Il successo delle kei car giapponesi è dovuto non soltanto alle dimensioni e al prezzo, ma anche a un regime fiscale agevolato. In Giappone, chi acquista una kei car beneficia di riduzioni significative sulla tassa di registrazione e sul bollo auto, oltre al vantaggio di poter comprare il veicolo senza dimostrare di possedere un box o un posto auto, requisito invece obbligatorio per le altre vetture. In Europa, una politica simile non è ancora stata messa in campo. Perché il ritorno delle city car possa davvero decollare, serviranno nuove normative che incentivino i consumatori, rendendo queste vetture realmente convenienti rispetto ai segmenti superiori. Senza un’adeguata cornice fiscale, il rischio è che le buone intenzioni rimangano soltanto sulla carta.
City car europee tra elettrico e motorizzazioni tradizionali
Uno degli aspetti più dibattuti riguarda le motorizzazioni delle future city car europee. Se da un lato l’elettrico rappresenta la soluzione ideale per l’uso urbano, grazie alla possibilità di utilizzare batterie compatte e ridurre i costi, dall’altro resta l’idea che anche motorizzazioni ibride o a benzina possano avere un ruolo, soprattutto in fase di transizione. Jean-Philippe Imparato ha evidenziato come anche un’auto piccola con motore tradizionale consumi meno di una più grande, rappresentando quindi una scelta sostenibile in termini relativi. Questa flessibilità potrebbe essere la chiave per rendere le nuove city car davvero appetibili, evitando di vincolare il loro successo unicamente alla diffusione delle infrastrutture di ricarica elettrica.
I vantaggi economici e sociali delle nuove city car
Il ritorno delle city car porta con sé numerosi potenziali benefici. In primo luogo, il prezzo contenuto aprirebbe nuovamente il mercato a una fascia di consumatori oggi esclusa dall’acquisto di auto nuove. In secondo luogo, la produzione di veicoli compatti potrebbe favorire la riconversione di stabilimenti europei in difficoltà, creando nuovi posti di lavoro e stimolando la filiera produttiva. Dal punto di vista ambientale, auto più leggere e meno potenti contribuirebbero a ridurre le emissioni complessive di CO₂, aiutando i costruttori a rispettare le normative sempre più stringenti. Infine, le nuove city car potrebbero rappresentare un’alternativa concreta alle microcar, veicoli che pur avendo trovato un certo successo in Italia, presentano limiti significativi in termini di spazio, prestazioni e sicurezza.
Gli ostacoli da superare per un vero rilancio
Nonostante gli aspetti positivi, la strada verso il ritorno delle city car in Europa non è priva di ostacoli. Uno dei principali riguarda la percezione dei consumatori, spesso restii a scegliere vetture troppo piccole per timori legati a sicurezza, comfort e immagine. Inoltre, le case automobilistiche dovranno affrontare il problema dei costi di produzione, che potrebbero risultare non sostenibili senza una domanda consistente. Infine, c’è la questione dell’omologazione: le kei car giapponesi non possono essere vendute in Europa senza importanti modifiche tecniche, e lo stesso vale per le eventuali E-Car europee, che dovranno rispettare standard severi in tema di sicurezza e dotazioni. Senza un sostegno deciso a livello politico e industriale, il rischio è che le buone intenzioni non trovino un reale riscontro sul mercato.
Una visione comune per il futuro dell’automotive
Il dibattito sul ritorno delle city car segna un momento di rara convergenza tra politica e industria in Europa. Da un lato ci sono i grandi gruppi automobilistici come Stellantis che spingono per un rilancio del segmento A, dall’altro c’è la volontà delle istituzioni europee di sostenere un progetto che possa rendere l’automotive nuovamente competitivo e accessibile. L’obiettivo è chiaro: creare un nuovo modello di mobilità urbana, fatto di vetture compatte, economiche e sostenibili, in grado di dare respiro a un settore che rischia altrimenti di collassare sotto il peso della concorrenza asiatica e delle difficoltà economiche dei consumatori. Se il progetto si tradurrà in realtà, le city car europee potrebbero diventare non solo un mezzo di trasporto, ma anche un simbolo di rinascita industriale e sociale per il Vecchio Continente.