Quando l’ultima Citroën 2CV uscì dalla catena di montaggio di Mangualde, in Portogallo, il 27 luglio 1990, alle ore 16, si chiuse simbolicamente un’epoca. Quella Charleston bigrigia, accolta da operai in festa e da una banda musicale, rappresentava l’addio di una delle automobili più significative del Novecento. A trentacinque anni di distanza, la sua influenza è ancora tangibile nella cultura automobilistica europea, nella visione della mobilità accessibile e nella filosofia tecnica della casa del Double Chevron.
Una missione popolare: democratizzare l’automobile
L’origine della Citroën 2CV si inserisce nella visione innovativa di Pierre-Jules Boulanger, successore di André Citroën, che già nel 1935 intuì l’esistenza di un mercato di massa per un’auto semplice, economica e adatta alle esigenze rurali e cittadine. Nacque così il progetto TPV (Toute Petite Voiture), con requisiti tanto chiari quanto rivoluzionari per l’epoca: trasportare due persone calzate con zoccoli e merci a 60 km/h consumando solo tre litri ogni 100 chilometri, essere semplice da guidare e da manutenere, e il più possibile economica da produrre.
Nel 1937 vide la luce il primo prototipo, e negli anni successivi vennero costruiti circa 250 esemplari di prova. Tuttavia, lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale rallentò drasticamente lo sviluppo. Il primo esemplare fu pronto il 2 settembre 1939, ma la vera presentazione al pubblico avvenne solo nel 1948, al Salone dell’Automobile di Parigi, dove la 2CV attirò subito l’attenzione degli automobilisti nonostante il design anticonvenzionale.
Una carriera lunga e fedele a sé stessa
L’elemento forse più sorprendente della Citroën 2CV è la coerenza con cui ha attraversato oltre quattro decenni di produzione restando fedele a se stessa. Sin dalle prime unità prodotte, si impose per la combinazione unica di comfort, economia e praticità. Il tempo di attesa per ricevere un esemplare nel 1951 era già salito a un anno e mezzo. L’auto divenne rapidamente un riferimento nella mobilità popolare, accompagnando il boom economico e l’evoluzione sociale del dopoguerra.
In tutto il mondo, la Citroën 2CV fu simbolo di libertà e anticonformismo, protagonista di film, viaggi, performance sportive. In ogni contesto, dalla città alla campagna, dalla famiglia al professionista, seppe rispondere con la sua semplicità a esigenze molto diverse.
Il genio italiano sotto il cofano: Walter Becchia
Uno degli aspetti più interessanti della storia della 2CV riguarda il suo motore. Spesso si celebra il design di Flaminio Bertoni, ma è giusto ricordare il fondamentale contributo tecnico di un altro italiano, Walter Becchia. Nato a Casale Monferrato nel 1896, divenuto emigrato in Francia per ragioni politiche, Becchia lavorò prima per Talbot-Lago e poi, dal 1941, per Citroën.
Il suo compito fu quello di realizzare un motore bicilindrico orizzontale, capace di ridurre vibrazioni e garantire un buon bilanciamento per il progetto TPV. Durante l’occupazione nazista, lavorando in condizioni estremamente difficili, si ispirò al propulsore danneggiato di una motocicletta di Bertoni, rielaborandolo per creare un’unità leggera, robusta ed efficiente.
Il risultato fu il “Tipo A”: 375 cc, 9 cavalli, 60 km/h di velocità massima e un consumo di tre litri ogni cento chilometri. Una soluzione tecnica innovativa, capace di assicurare affidabilità ed economia d’uso, che negli anni fu continuamente perfezionata, fino a raggiungere i 29 cavalli e i 120 km/h nei modelli degli anni Settanta.

Evoluzione e famiglia allargata
Il propulsore progettato da Becchia si rivelò così versatile da diventare il cuore meccanico di molti altri modelli Citroën. Alimentò non solo la 2CV, ma anche la Ami, la Dyane, la Méhari e le versioni derivate. Si trattava di un’architettura così robusta da essere impiegata persino in deltaplani e veicoli militari a sei ruote come i Poncin.
L’evoluzione commerciale della 2CV fu accompagnata da una gamma sempre più ampia di varianti. L’arrivo delle serie speciali, come la Charleston, e l’adattamento del veicolo a nuove esigenze stilistiche e funzionali permisero al modello di rimanere competitivo fino agli anni Novanta, anche grazie alla sua proverbiale semplicità meccanica.
Il successo industriale e culturale
I numeri testimoniano la portata del fenomeno 2CV. Tra il 1948 e il 1990 furono prodotte 3.868.680 unità della berlina classica. A queste vanno sommate le 1.246.335 versioni furgonate e le derivate dirette come la Dyane (1.443.583 esemplari), l’Acadiane (253.393) e la Méhari (144.953), per un totale di oltre 6,9 milioni di veicoli.
Ma il valore della Citroën 2CV va ben oltre le cifre. È entrata nel cuore di milioni di automobilisti europei, amata da intere generazioni per il suo design originale, la semplicità costruttiva, l’affidabilità e i costi di esercizio contenuti.
L’eredità viva della 2CV
Ancora oggi, a 35 anni dall’ultimo esemplare, la Citroën 2CV viene celebrata in raduni internazionali e collezionata in tutto il mondo. La sua filosofia vive nei modelli che ne hanno raccolto l’eredità, da Ami a Citroen C3, portando avanti quell’idea originaria di mobilità per tutti che ha reso unica la casa del Double Chevron.
Il suo spirito si ritrova anche nella nuova transizione energetica, dove Citroën continua a proporre soluzioni democratiche e creative. Proprio la nuova C3, elettrica ma anche termica, domina il mercato italiano nel 2025, mostrando come la lezione della 2CV continui a orientare la strategia del marchio.
La Citroën 2CV, con la sua silhouette inconfondibile e la sua meccanica elementare, rimane un punto di riferimento per ogni discorso sulla mobilità del Novecento. È un’auto che ha saputo essere rivoluzionaria senza essere complessa, accessibile senza essere banale, amata da intellettuali e contadini, da studenti e collezionisti. E soprattutto, è un’auto che ha saputo attraversare il tempo rimanendo fedele a sé stessa.












