Torna al centro dell’attenzione il tema del blocco dei veicoli diesel Euro 5, un provvedimento destinato a incidere su milioni di automobilisti residenti nella Pianura Padana. Il piano originario, che prevedeva l’entrata in vigore del blocco alla circolazione dal primo ottobre 2025, ha subito una nuova frenata. Grazie a un emendamento al Decreto Infrastrutture approvato dalle Commissioni Ambiente e Trasporti della Camera, la scadenza è stata ufficialmente rinviata al 1° ottobre 2026.
La decisione coinvolge direttamente le regioni del bacino padano, ovvero Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, territori da anni alle prese con sforamenti continui dei limiti imposti dalla normativa europea sulla qualità dell’aria, in particolare per quanto riguarda PM10 e biossido di azoto (NO₂).
Tuttavia, dietro al rinvio si cela una strategia più complessa, che tiene conto delle difficoltà economiche di famiglie e imprese, della necessità di evitare un colpo troppo duro all’automotive e dell’introduzione di strumenti più flessibili per raggiungere gli obiettivi ambientali.
Le motivazioni del rinvio e il quadro normativo di riferimento
La nuova data del 1° ottobre 2026 rappresenta la seconda proroga del provvedimento. Inizialmente il blocco dei diesel Euro 5 era previsto per il 2024, poi spostato al 2025. La modifica più recente è frutto di un emendamento proposto dalla Lega, fortemente sostenuto dal vicepremier e ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini.
Il partito ha definito il rinvio “una scelta di buonsenso”, motivata dal tentativo di evitare quella che è stata definita una follia economico-industriale: bloccare un parco circolante di oltre un milione di veicoli in un contesto economico ancora fragile.
Il decreto-legge n. 121/2023, da cui tutto ha avuto origine, è la traduzione normativa degli obblighi europei in materia di riduzione dell’inquinamento atmosferico. Le direttive UE impongono agli Stati membri l’adozione di piani per contenere l’impatto di veicoli inquinanti nelle aree più critiche. La Pianura Padana, a causa della sua particolare conformazione geografica e della concentrazione urbana e industriale, è una delle aree maggiormente colpite in Europa.
Le nuove condizioni: priorità alle grandi città e flessibilità per le Regioni
Una delle novità principali introdotte dall’emendamento è che il blocco non scatterà in modo uniforme su tutto il territorio regionale. A partire dal 2026, la limitazione verrà applicata in via prioritaria ai comuni con oltre 100.000 abitanti.
Questo criterio introduce una forma di differenziazione territoriale, che tiene conto della maggiore densità di traffico e dell’impatto sull’ambiente nei centri urbani di grandi dimensioni. Non solo: l’emendamento riconosce alle Regioni la possibilità di evitare il blocco strutturale se riusciranno a introdurre misure alternative altrettanto efficaci nella riduzione delle emissioni.
Tali misure compensative, come l’aumento delle superfici di verde urbano, progetti di efficienza energetica, incentivi alla mobilità sostenibile e trasporto pubblico potenziato, potranno essere inserite nei piani regionali per la qualità dell’aria, a condizione che portino a risultati equivalenti rispetto al blocco della circolazione.
Le Regioni tra adesione e cautela
La reazione delle Regioni interessate al nuovo scenario normativo è stata articolata. In Piemonte, Lombardia e Veneto, tutte amministrate da giunte di centrodestra, il provvedimento è stato accolto con favore. Le amministrazioni regionali hanno sottolineato la necessità di rivalutare tempi e modalità di attuazione del blocco, in modo da evitare ripercussioni negative sulle economie locali e sulle fasce più deboli della popolazione.
Più prudente la posizione dell’Emilia-Romagna, dove il centrosinistra mantiene la guida della Regione. Pur non respingendo a priori il rinvio, Bologna e le altre città dell’area hanno chiesto che le misure ambientali restino al centro del dibattito e vengano applicate in modo efficace e scientificamente valido. La Regione ha confermato la disponibilità ad aggiornare i propri piani di qualità dell’aria, ma ha ribadito che ogni eventuale deroga dovrà essere giustificata da dati e risultati tangibili.
Il caso di Roma e Lazio: niente rinvio, ma apertura al dialogo
Fuori dallo schema padano, c’è una realtà che sta già seguendo un percorso diverso. A Roma e nel Lazio, il destino dei diesel Euro 5 appare segnato: è confermato lo stop alla circolazione nella ZTL Fascia Verde dal 1° novembre 2025. Il provvedimento sarà valido per tutto il periodo invernale, fino al 30 marzo 2026.
Anche in questo caso, però, la Regione ha lasciato aperta una finestra di possibilità. Saranno infatti considerate ammissibili misure alternative, purché si dimostri che possono produrre una riduzione dell’inquinamento atmosferico equivalente a quella attesa dal blocco dei veicoli.
Si tratta, a tutti gli effetti, di una strategia di mitigazione che punta a coniugare il rispetto degli obblighi ambientali con la necessità di garantire la mobilità e sostenere economicamente le categorie più colpite.
Cosa accadrà dopo il 2026: scenari e strategie
Il rinvio al 2026 offre senza dubbio più tempo per agire, ma anche più spazio per i contrasti politici e le pressioni da parte dei vari portatori d’interesse. I prossimi mesi saranno determinanti per capire quali Regioni opteranno per misure strutturali e quali invece faranno ricorso alle deroghe previste dall’emendamento.
La sfida sarà quella di rendere compatibili ambiente, economia e diritto alla mobilità, in un quadro europeo sempre più stringente. I finanziamenti del PNRR, le risorse per la transizione ecologica e gli incentivi alla rottamazione potrebbero diventare strumenti chiave per accompagnare il cambiamento, ma serviranno piani seri e coordinati.
Nel frattempo, il dibattito sul blocco dei diesel Euro 5 resta aperto e carico di implicazioni politiche, sociali e industriali. Mentre le istituzioni cercano un equilibrio tra vincoli ambientali e tutela dei cittadini, il tempo guadagnato con il rinvio dovrà essere impiegato per trovare soluzioni sostenibili e concrete.